Impersonò Antonio Farina nella pellicola che vinse l’Oscar nel 1992. Una famiglia di Karpathos lo ha «adottato». «Italiani?», la domanda di rito: «Otto volte su dieci mi riconoscono»

Giuseppe Cederna, l'oste di «Mediterraneo» di Salvatores: «Ora lo faccio per davvero, su un'isola greca»

Giuseppe Cederna, al centro, con lo staff della taverna a Karpathos

Dell’attore Bela Lugosi si dice che riposasse dentro una bara, per emulare quel Dracula che lo rese un’icona sul grande schermo. Johnny Weissmuller, dal canto suo, chiese che al suo funerale risuonasse l’urlo di Tarzan. Per immedesimarsi nel suo personaggio più famoso, Giuseppe Cederna si limita a servire ai tavoli di una taverna a Karpathos, isoletta del mar Egeo, come l’Antonio Farina che impersonò in Mediterraneo. Come nel capolavoro di Gabriele Salvatores (premio Oscar 1992), Cederna sparecchia, porta i souvlaki, saluta i clienti.

Si direbbe che ha bucato la quarta parete.
«Lo so, sembra assurdo, a volte viene da ridere anche a me».

Ma i clienti la riconoscono?
«Otto volte su dieci, sì».

Le chiederanno centinaia di foto.
«Ed è un piacere, a patto che le scattino anche con i titolari della taverna».

È strano pensare a un attore che serve ai tavoli.
«Ti fa capire che quando vai al ristorante devi essere sempre gentile».

Cosa fa qui?
«Con la mia compagna aiutiamo una famiglia di amici del posto. Hanno un orto e un piccolo ristorante. All’inizio venivamo da ospiti, poi siamo diventati di famiglia. E, si sa, chi è di famiglia lavora».

Lo spirito del viaggiatore.
«Non sono mai venuto come turista. Pensi che qui ho anche imparato a fare il contadino. Taglio il grano, raccolgo pomodori, zucchine. E sto con i miei amici».

Si intuisce un legame profondo.
«Viscerale. Ci hanno accolti a poco a poco, fino ad adottarci. Ho fatto anche da testimone di nozze a loro figlio, lo aspetto a Roma a dicembre. Sono un uomo fortunato, ho due famiglie nel mondo».

Quanto tempo trascorre qui?
«Non meno di un mese all’anno. Organizzo e sposto tutti i miei impegni cinematografici e teatrali per ricavare questa finestra. Per me venire qui è una necessità quasi fisica. Non riesco a farne a meno».

Ha scoperto queste terre con Mediterraneo?
«In realtà è un legame ancora più antico: in questi posti venivo da bambino con mio padre Antonio quando faceva l’archeologo. Sono un viaggiatore, un figlio dell’isola che è sempre tornato».

Giuseppe Cederna, l'oste di «Mediterraneo» di Salvatores: «Servo davvero ai tavoli su un'isola greca»

Cederna in una scena del film «Mediterraneo»

È tornato anche a Kastellorizo, dove giraste il film.
«Da anni, e continuo a tornarci. Dal 21 al 27 luglio sarò lì per presentare a un festival internazionale il mio documentario Su questa terra, realizzato con Simone Corallini. E per parlare del mio amore per questa terra».

Perché la ama?
«È un posto speciale, con una storia di cadute, ritorni e tragedie. Grazie a Mediterraneo ha avuto la notorietà che meritava. È diventata una meta per italiani, greci, emigrati australiani».

E invece per lei cosa rappresenta?
«L’isola della giovinezza. Ogni volta che torno sento viaggiare la memoria, e rivedo davanti a me i miei compagni di film. Ci immagino di nuovo ragazzi, quasi sconosciuti. Giro per i vicoli, al mattino o alla sera tardi, da solo, e immagino di parlare con Abatantuono, Antonio Catania, Claudio Bigagli…mi fa una tenerezza incredibile».

Cosa ricorda di quelle giornate sul set?
«Il piacere di stare insieme, il sudore sotto il sole cocente mentre giravamo bardati da soldati. E poi, quelle partite…».

Prego?
«Finivamo di girare alle 18:30, poi ci spostavamo sul molo e ci sfidavamo fino al tramonto a calcio – tennis. Io sono un interista sfegatato, mentre Abatantuono, come è noto, ha il cuore rossonero. Venivano fuori battaglie all’ultimo sangue, era come se ogni volta anticipassimo il derby, come fanno i bambini».

Giuseppe Cederna, l'oste di «Mediterraneo» di Salvatores: «Servo davvero ai tavoli su un'isola greca»

Il cast di «Mediterraneo»

Chi era il più bravo?
«Gigio Alberti, poco ma sicuro. Poi, nell’ordine, Abatantuono e io».

A proposito, quante volte giraste la famosa scena del rigore sulla pista dell’aeroporto?
«Un paio, non di più, venne buona quasi subito. Salvatores era in stato di grazia, riuscì a farci tirare fuori il massimo. Sotto la sua guida sembravamo tutti più bravi».

 

Se vuoi restare aggiornato sulle notizie di Milano e della Lombardia iscriviti gratis alla newsletter di Corriere Milano. Arriva ogni sabato nella tua casella di posta alle 7 del mattinoBasta cliccare qui.

“milano.corriere.it”

di Alessio Di Sauro